Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi
nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora
disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su
quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il
terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno,
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se
porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». (Lc 13, 5-9)
Sursum corda, in alto il cuore! Mi ripeteva spesso il vescovo da seminarista. Come a dire: coraggio! Eh già, il cammino in salita non è semplice. Molte sono le difficoltà che scoraggiano. Quei macigni che non riesci a portare se qualcuno non ti aiuta. Una parola potrebbe fare la differenza. Era proprio un mio sguardo ripiegato che induceva il vescovo a dirmi quella frase fatidica: sursum corda!
Non sapevo cosa volesse dire. Il latino lo conosco poco. Però mi dava coraggio. Soprattutto per gli impegni del seminario, per me piccolo pulcino abituato a stare con la chiocciola. Pian piano, come galletto, mi sono accorto che questa espressione fa addirittura parte della liturgia. Della messa! In alto i cuori, dice ad un certo punto il sacerdote.
Quando invito i miei fedeli ad innalzare i cuori penso alla misericordia di Dio. Il cuore, infatti, si infervora quando è libero da tante pesantezze che non fanno vivere. Soprattutto il sentirsi in colpa dinanzi al Signore. Pensiamo che Egli voglia tagliarci come il fico sterile della parabola evangelica. Non portiamo frutti, allora siamo inutili. Gesù ci ricorda che non è così.
Egli ha fiducia del fico. Non lo vuole eliminare perché sa che porterà frutti. Ne avrà cura con la zappa ed il concime. Il vangelo è per noi quella linfa vitale che cambierà il cuore. Lo eleverà da ciò che rende aridi. Gli permetterà di portare quei frutti per cui è nato. Frutti di pace, quiete, serenità. Sursum corda: Dio nella sua misericordia è con te.